Architettura comunista

Nei paesi della ex Unione Sovietica troviamo numerosi edifici la cui architettura fu fortemente caratterizzata dalle linee guida dei regimi socialisti che condizionarono le scelte progettuali nelle forme, nei materiali e, non ultimo, nelle dimensioni. Non è esatto parlare di “architettura comunista”, si dovrebbe invece parlare di “architetture comuniste” riferendoci a una pluralità di stili che via via si avvicendarono e tra questi troviamo il costruttivismo, il modernismo, il post modernismo, il brutalismo e l’architettura internazionalista sovietica. Non sempre dissimili dalle forme architettoniche adottate nei paesi occidentali, ciò che nell’insieme le caratterizza è il loro dichiarato intento politico che tutt’oggi oggi possiamo rilevare. Quanto segue è un’introduzione a uno stile controverso e difficilmente catalogabile…

Capita a chi va in Ucraina, in Lituania o in Estonia, in Georgia, in Uzbekistan e in ogni altro paese dell’ex Unione Sovietica, di scoprire che l’architettura ha vissuto una stagione tanto delirante quanto, vista oggi, curiosa e interessante, per diventare, in alcuni casi, decisamente sorprendente. Stessa cosa vale anche per chi frequenta la “non allineata” ex Jugoslavia…

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Tbilisi, Georgia – sede del ministero dei trasporti della Repubblica Socialista Georgiana, oggi sede della Banca di Georgia (Foto: Creative Commons, autore: Oleksandr Burlaka)

Molto intelligentemente la Taschen ha pubblicato un testo interamente dedicato alla creatività e all’ingegno dell’architettura sovietica, sfruttando, in questo modo, il crescente interesse da parte del pubblico sull’argomento e a sua volta, alimentandolo. Il testo, offre ai viaggiatori una vera e propria guida per poter individuare le costruzioni più eccentriche e, volendo, per poterle essi stessi visitare. Il titolo del libro è CCCP: Cosmic Communist Constructions Photographed.

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Kiev, Ucraina – il Salut Hotel (Foto: Creative Commons, autore: Oleksandr Burlaka)

Noi abbiamo avuto l’opportunità di vedere alcune di queste costruzioni dal vivo (un esempio? seguite questo link) e ne siamo rimasti letteralmente affascinati. Il fatto è che sono così improbabili, decontestualizzanti e astruse che è possibile abbandonarsi a qualsiasi suggestione e, a volte, ci si può anche letteralmente divertire.

Non bisogna dimenticare che le architetture sovietiche sono anche l’immobile espressione di un’ideologia che finì sciaguratamente per dare vita alla più controversa e forse grottesca espressione politica e governativa mai concepita. Trascurando questo aspetto che tuttavia non è per nulla secondario, ci si può dedicare esclusivamente alla loro straniante e a volte ironica realtà.

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Podgarić, Croazia – Monumento alla Rivoluzione del popolo di Moslavina (Foto: Creative Commons, autore: tomislav medak)

Vediamo ora alcuni aspetti tecnici e tematici di queste opere. Il primo è quello relativo alla passione dei sovietici per il cemento, passione che finì per diventare vero e proprio amore. Lo amavano a tal punto da apprezzarne non solo le caratteristiche tecniche e funzionali, ma anche il colore e persino l’odore che solo loro riuscivano a percepire e con il più soddisfacente appagamento. Per farlo, ne dovevano mettere insieme tantissimo e per metterne insieme tantissimo dovevano pensare a strutture immense.

Prendiamo, ad esempio, i memoriali. In questi luoghi, tutto viene evocato eccetto quanto riferibile al dramma dei caduti, dei martiri o degli eroi. Imponenti distese di cemento dove sono collocati improbabili e inespressivi “oggetti” dalle dimensioni iperboliche non commemorano, non commuovono, non invitano alla riflessione: sono più spesso una eloquente testimonianza di quanto smisurata era l’adorazione per il cemento.

Il materialismo comunista, inoltre, richiedeva sopratutto una “materia” e questa materia doveva, a sua volta, promuovere il materialismo. La “materia”, inoltre, doveva essere quanto più pesante e immobile possibile, in modo che nessuno potesse pensare di poterla semplicemente rimuovere…

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Kaunas, Lituania – Monumento ai Caduti del Nono Forte (Foto: Creative Commons, autore: markhoulder)

Malgrado tanto amore, tuttavia, andò a finire che il cemento tradì le attese dei comunisti e iniziò via via a decomporsi, a frantumarsi, a sporcarsi: fu un vero e proprio sgarbo. Per questa ragione molti edifici rimasero già inutilizzati durante l’epoca sovietica diventando i cosiddetti soviet ghosts anch’essi oggetto di una interessante pubblicazione (la trovate seguendo questo link).

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Tbilisi, Georgia – Palazzo delle Cerimonie (Foto: Creative Commons, autore: Oleksandr Burlaka)

C’è, poi, il tema della propaganda politica. Il comunismo di matrice sovietica non riuscì mai a conquistare le masse in modo naturale: non si diffuse per acclamazione o anche solo per semplice accettazione. Bisognava divulgarlo e più spesso imporlo e per farlo bisognava far uso di ogni strumento disponibile, architettura compresa.

Nazisti e comunisti, ebbero entrambi l’idea di impiegare gli edifici e in particolare quelli governativi, come mezzo per propagandare i rispettivi regimi e ideologie e inizialmente lo fecero anche condividendo la stessa attrazione per il monumentalismo. Poi, i nazisti vennero espulsi dalla storia e i comunisti restarono soli a dover decidere come promuovere la loro ideologia attraverso l’architettura. Perso ogni riferimento, non potendo guardare al mondo libero per “partito preso”, iniziarono a immaginare possibili linee guida per uno stile che fu a tal punto strumentalizzato che si finì persino per dimenticare per quale fine lo fosse…

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Bulgaria, interno del Buzludzha Monument (Foto: Creative Commons, autore: nihiliath)

Oggi, in molte nazioni, la cronica mancanza di risorse economiche rende complicata la rimozione di queste costruzioni. Considerate che la sola eliminazione delle statue di Lenin, fu un’operazione ciclopica. Queste sorgevano ovunque insieme a quelle di altri esponenti della nomenclatura sovietica, di contadini festanti, di operai fiduciosi e di altri soggetti tratti dall’immaginario sovietico. Insieme, costituivano una enorme massa ferrosa che impegnò non poco gli addetti alla de-sovietizzazione. Pensare di realizzare con la stessa accuratezza anche le operazioni di demolizione di memoriali, palazzi dei Soviet, istituti marxisti-leninisti ecc. era ed è decisamente troppo ambizioso.

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Yerevan, Armenia – Palazzo dello Sport e dei Concerti (Foto: Creative Commons, autore: Rob Schofield)

C’è poi da considerare anche la crescente attenzione da parte dei viaggiatori per gli edifici di epoca sovietica. Cosa, questa, che li rende potenziali mete turistiche e il turismo, anche nei paesi dell’est, è sempre più ambito.

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Kazakistan, palazzo governativo (Foto: Creative Commons, autore: Asparukh Akanayev)

C’è poi il tema dell’ironia della sorte. Accadde, infatti, che molti palazzi e luoghi pubblici realizzati dai sovietici divennero sede privilegiata per le molte manifestazioni che via via si tennero in tutto l’Impero chiedendo proprio l’indipendenza da Mosca.

Accadde anche che alcuni di questi colossali edifici furono, successivamente alla disgregazione dell’Unione Sovietica, reimpiegati per porre in atto le pratiche più decadenti e corrosive del capitalismo. Centri commerciali, musei sulle persecuzioni perpetrate proprio dai sovietici e persino palchi per concerti rock, sono solo alcuni esempi di come parte di queste opere sono state riposizionate ideologicamente…

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Bratislava, Slovacchia – Palazzo della Radio Nazionale (Foto: Looking for Europe 2016)

Non importa se uno è in grado di distinguere o meno lo stile o di comprenderne le complicate ragioni architettoniche, funzionali, propagandistiche o tematiche. Ciò che conta è che queste opere hanno il potere di suggestionare chiunque e, a tal punto, che in molti si avventurano in località anche decisamente appartate pur di prendere atto della loro reale esistenza e di scattare delle memorabili fotografie…

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3 pensieri su “Architettura comunista

  1. Bel post! Anch’io ho una relazione di amore/odio verso queste strutture. L’Est Europa mi affascina da sempre e ho avuto la fortuna sia di girarlo parecchio sia di viverci, ma dall’altro lato mi rendo conto di cosa queste strutture significhino realmente, soprattutto per chi il comunismo l’ha vissuto davvero. Nonostante ciò, non riesco a non rimanere mostruosamente affascinanta da queste immense costruzioni di cemento!

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